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Ci sono marchi che entrano nel cuore degli appassionati non tanto per l’eco della loro fama, quanto per la loro costanza silenziosa, per la capacità di accompagnare epoche intere senza mai tradire i principi fondanti che li hanno resi speciali. Tra questi c’è senza dubbio Delbana, un nome che a molti può suonare familiare soltanto di riflesso, ma che agli occhi di chi ama davvero l’orologeria racconta una delle storie più affascinanti della tradizione svizzera. Parlare di Delbana significa riscoprire un percorso che parte da un sogno personale, quello di un giovane sammarinese emigrato in Svizzera negli anni Trenta, e che nel tempo si trasforma in una vera e propria avventura industriale, attraversando guerre, crisi, rinascite e mode cangianti, senza mai abbandonare quell’idea originaria di rendere l’orologio svizzero un bene accessibile, democratico, compagno quotidiano e non semplice vezzo elitario.

La vicenda ha inizio nel 1931, quando Goliardo Della Balda, trasferitosi dalla Repubblica di San Marino in Svizzera, decide di fondare a Grenchen la propria maison. Grenchen, insieme a Bienne, era già un centro pulsante dell’orologeria svizzera: movimenti, casse e quadranti si producevano a ritmi sempre più intensi e il fermento era tale da attrarre giovani intraprendenti da tutta Europa. GDB aveva un’idea chiara e al tempo stesso coraggiosa: dare vita a un marchio che non inseguiva i fasti dei brand aristocratici, ma che mirava a proporre segnatempo robusti, eleganti e, soprattutto, accessibili. Non a caso il nome scelto, Delbana, custodisce l’eco del suo cognome, come un sigillo personale messo in prima linea su ogni quadrante. Quel gesto quasi familiare anticipava lo spirito dell’impresa: un marchio vicino alle persone, capace di offrire la qualità svizzera senza farla pagare a peso d’oro.

Negli anni Trenta Delbana iniziò la sua produzione con orologi da tasca e primi modelli da polso a tre lancette. Non si trattava di complicazioni spettacolari o di esibizioni di alta orologeria: l’essenza era l’affidabilità. Questi orologi si diffusero presto non solo in Svizzera, ma anche nei mercati dell’Europa centrale e orientale, dove la richiesta di segnatempo precisi e abbordabili era forte. Lì, tra Polonia e Ungheria, in URSS e nei Balcani, Delbana trovò un pubblico fedele, che riconosceva in quelle casse eleganti ma non ostentate un perfetto equilibrio tra estetica e utilità quotidiana.

Gli anni Quaranta furono ovviamente segnati dalla guerra, ma anche in quel periodo il marchio riuscì a mantenere la produzione. Non pochi esemplari finirono al polso di militari e civili che avevano bisogno di un compagno di viaggio solido, e ancora oggi alcuni collezionisti conservano modelli di quell’epoca segnati dal tempo ma pieni di fascino. Con il dopoguerra si aprì però la stagione più intensa per Delbana: gli anni Cinquanta e Sessanta. È in quel periodo che la maison si consolida come vera e propria manifattura di medie dimensioni, capace di produrre fino a centomila pezzi l’anno, con un nuovo stabilimento inaugurato nel 1954 e oltre cento dipendenti. Un risultato straordinario, se pensiamo alle origini quasi artigianali della marca. Sono gli anni dei cronografi bicompax, strumenti destinati non solo all’uso sportivo ma anche all’aviazione e alle prime esplorazioni subacquee. Orologi che oggi fanno vibrare i polsi dei collezionisti: quadranti con due contatori, movimenti firmati Adolph Schild o Landeron, casse in acciaio ben proporzionate, lunette sottili e quell’eleganza sobria che rappresenta una firma stilistica inconfondibile. Chiunque abbia avuto la fortuna di indossarne uno, magari ritrovato in un mercatino o ereditato da un familiare, sa bene quanto possano ancora trasmettere energia e poesia, nonostante siano passati settant’anni.

In quegli anni Delbana incarnava davvero lo spirito democratico dell’orologeria: i suoi pezzi non avevano nulla da invidiare ai più noti marchi svizzeri in termini di qualità costruttiva, ma il prezzo li rendeva raggiungibili a un pubblico molto più ampio. Non è un caso che in molti paesi dell’Est Europa Delbana fosse considerata una sorta di “Rolex del popolo”, un marchio aspirazionale eppure alla portata. È un aspetto che personalmente trovo emozionante: la possibilità che un operaio, un insegnante, un giovane medico potesse stringere al polso un segnatempo Swiss Made degno di orgoglio, senza dover sacrificare un anno di stipendio. È il lato umano dell’orologeria, quello che spesso viene dimenticato quando ci si perde nel lusso estremo e nelle aste da record.

Ma poi arrivarono gli anni Settanta, e con essi la rivoluzione del quarzo. È la parte della storia in cui molti marchi svizzeri si sono smarriti. Per Delbana non fu diverso: la produzione si trovò a dover fronteggiare la marea giapponese dei Seiko e dei Casio, con i loro quarzi precisi e a basso costo. La maison scelse allora di fondersi con Wega, entrando a pieno titolo nel mondo degli orologi al quarzo. Fu una scelta di sopravvivenza, dettata dal contesto: meglio adattarsi che scomparire.

Gli anni Ottanta portarono con sé una nuova estetica: Delbana lanciò la linea Classic, fatta di orologi placcati oro e cromati, spesso con quadranti decorati e uno stile più flamboyant, in sintonia con la moda del decennio. Non erano pezzi timidi, ma piuttosto dichiarazioni di gusto.
Nei primi anni Novanta arrivò poi la collezione San Marino, un omaggio alle radici del fondatore. Qui lo stile si fece più sobrio e moderno, con casse in acciaio inossidabile e linee solide che anticipavano la direzione che avrebbe preso il marchio di lì a poco.

La svolta arrivò nel 2002, quando Delbana fu acquisita da Delma Watch Ltd., un altro nome storico e indipendente dell’orologeria svizzera, con sede a Lengnau. Questa operazione non significò la perdita dell’identità, anzi: fu la salvezza e il rilancio. Grazie a Delma, Delbana ritrovò nuova linfa, rilanciando collezioni sia al quarzo che meccaniche, e riaffermando la propria filosofia: offrire Swiss Made autentico a prezzi contenuti. In un mondo orologiero sempre più polarizzato tra lusso inavvicinabile e fast fashion senza anima, Delbana seppe ritagliarsi nuovamente il proprio spazio come marchio onesto, solido e coerente.

Il 2021 ha segnato una tappa memorabile: i novant’anni del marchio.
Per celebrarli, Delbana ha rilanciato uno dei suoi modelli storici più amati, il Recordmaster. Questo orologio, nato negli anni Cinquanta, aveva un quadrante ispirato ai dischi in vinile, con cerchi concentrici che evocavano le tracce sonore incise. La riedizione, limitata e curata nei minimi dettagli, ha emozionato i collezionisti proprio perché capace di unire fedeltà storica e aggiornamento tecnico. È stato un tributo all’eredità del brand, ma anche un messaggio al futuro: Delbana non dimentica da dove viene e continua a guardare avanti.

Oggi possedere un Delbana significa stringere al polso un pezzo di storia orologiera spesso sottovalutata. Non si tratta di un marchio da copertina, non vedrete le sue pubblicità sulle facciate dei grattacieli o al polso delle star di Hollywood, e forse è proprio questo a renderlo speciale. Delbana è un segreto condiviso tra intenditori, tra chi cerca autenticità più che status. È un marchio che parla a chi ama scoprire il non detto, a chi si entusiasma davanti a un cronografo bicompax degli anni Cinquanta scovato in un cassetto, o davanti a un Recordmaster nuovo che profuma di heritage vero e non di marketing artificiale.

Da collezionista, trovo in Delbana un esempio di coerenza rara. In quasi un secolo non ha mai tradito la propria idea di base: l’orologio come compagno di vita, come oggetto di precisione svizzera alla portata di molti. Ha attraversato crisi e fusioni, ha sperimentato estetiche diverse, ma ha sempre mantenuto un filo conduttore. Forse non sarà mai considerata una maison “blasonata” come Patek o Vacheron, ma la sua importanza nel tessuto dell’orologeria quotidiana è innegabile. Ed è proprio questo il bello: Delbana è l’orologio del professore, del medico di provincia, dell’operaio che voleva concedersi qualcosa di speciale. È un brand che racconta storie di vita reale.

Ecco perché parlare di Delbana non è solo raccontare la cronaca di un marchio, ma celebrare un’idea di orologeria fatta di passione, accessibilità e dignità. Ogni volta che allaccio al polso un Delbana, sento di portare con me un pezzo di questa filosofia. È come avere un amico fedele che non ha bisogno di gridare per farsi notare: basta la sua presenza discreta, precisa, rassicurante.

In un mondo dove troppo spesso gli orologi vengono valutati soltanto in base al loro valore d’asta o al clamore mediatico, Delbana continua a rappresentare un’alternativa nobile e silenziosa. È il marchio che non vuole sedurre con lustrini, ma conquistare con sostanza. Ed è proprio per questo che chi lo scopre, lo apprezza e lo colleziona, difficilmente lo dimentica. Perché alla fine, più di ogni marketing, resta la magia di un quadrante che segna il tempo con eleganza, al giusto prezzo, nel rispetto di una tradizione che dura dal 1931 e che, ne sono convinto, durerà ancora a lungo.